A Torino, in un palazzo anni Trenta, un appartamento dove lo STILE NOVECENTO viene rielaborato in chiave CONTEMPORANEA. Con rigore razionale e un tocco di eclettismo.
progetto di MASSIMILIANO CAMOLETTO/UDA - testo di RUBEN MODIGLIANI - forografie di MAX ZAMBELLI
Torino ha un cuore modernista. È il tratto di via Roma che da piazza San Carlo Felice arriva a piazza San Carlo: 350 metri di marmi, di colonnati, di angoli retti. Un piano urbanistico realizzato a cavallo tra il 1931 e il 1937 e firmato da Marcello Piacentini, architetto che seppe unire razionalismo e monumentalità classica (approccio che ne fece uno dei più apprezzati da Mussolini). A un certo punto la strada si allarga in una piazza con due fontane gemelle, grandi sclture posate sulle facciate di due palazzi speculari posti uno davanti all'altro: simmetria che dà allo spazio urbano una dimensione spettacolare, metafisica. La casa di queste pagine si trova proprio qui.
Ed è il fascino novecentesco di tutta l'area il punto di partenza che ha ispirato il complesso lavoro di ristrutturazione, che si riallaccia al 1932, anno di costruzione del palazzo, non in chiave nostalgica ma usando il linguaggio delle contemporaneità.
«Quando sono stato chiamato in causa non c'ra più niente di originario», spiega Massimiliano Camoeltto dello studio UdA, autore del progetto. «L'appartamento era già completamente rifatto, la nuova pianta era già stata delineata. Ma gli spazi, così come erano stati disegnati, non erano funzionali alle esigenze della proprietaria, che voleva un luogo che potesse essere insieme casa e ufficio. Una parte, quindi, di rappresentanza e una più privata. Nel rigenerare gli spazi ho voluto ricreare le proporzioni care a Piacentini, architetto di cui conosco bene il linguaggio: ho anche lavorato in un altro suo palazzo, a un isolato di distanza da questo. Ho voluto ricreare l'aulicità di quel periodo». È nata così l'idea di utilizzare come ufficio il grande ingresso, separato dal soggiorno da due pareti scorrevoli in cristallo grigio. Visivamente, quindi, quasi un solo volume, di notevole ampiezza. Dal soggiorno poi si passa alle zone più private della casa: la cucina, la camera da letto a cui si accede da una porta/parete pivotante. Due dimensioni parallele ma in contatto. La pulizia delle linee architettoniche è accentuata da dettagli come le porte a filo muro, che da chiuse sono un segno minimale sulla parete appena visibile. I pavimenti sono in marmo nero, dalla finitura appena anticata. Le pareti grigie o bianche oppure rivestite da una boiserie in essenze dalle tonalità chiare e luminose. Boiserie che in realtà un garnde elemento contenitore, le cui geometrie richiamano la facciata del palazzo.
«Per l'arredamento mi sono ispirato agli interni dell'epoca», prosegue Camoletto, «ma la mia idea è stata creare quelle atmosfere con pezzi di gusto contemporaneo, senza troppi mobili vintage. Ho voluto arredare in leggerezza. Il divano e il grande tavolo da pranzo (rispettivamente Rod di Piero Lissoni per Living Divani, in pelle, e Manta di Giuseppe Bavuso per Rimandesio con piano in rovere, nrd) sono stati il punto di partenza. Da lì il progetto si è sviluppato in modo naturale, anche integrando oggetti e quadri della collezione della padrona di casa». Così pezzi di design storico come lampade Arco di Achille Catiglioni (Flos), del 1962, e Spider di Joe Colombo (Oluce), del 1965, sono accostati a quadri e incisioni del Settecento, a mobili Ottocento, a tappeti e arredi contemporanei. Alcuni pezzi sono realizzati su disegno: a credenza del soggiorno e la struttura su sui è posato il lavabo del bagno ospiti sono state progettate da Camoletto insieme a Matteo Franco; sono firmate da loro anche le maniglie in alluminio anodizzato delle pareti in cristallo che dividono ingresso e living.
Ogni spazio ha una sua fisionomia: la cucina è tecnica, tutta in acciaio (una richiesta della padrona di casa), la camera da letto è ingentilita da una quadreria di ritratti femminili; il soggiorno, tutt'uno con la zona pranzo, è rigoroso ma con elementi inattesi: la lastra in cristallo retroilluminata messa a chiudere un'altra nicchia con scaffali, per esempio, oppure la scultura-totem accanto al grande tavolo, posto in obliquo rispetto all'asse della stanza. Estetica razionale ma imprevedibile.
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